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Smart working, tra sostenibilità sociale e nuovi modelli   

7 Febbraio 2025

Le conclusioni dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano tracciano uno scenario in cui l’innovazione del lavoro è flessibile, internazionale e orientata ai risultati: i dati del 2024 ci dicono che dare priorità al benessere dei lavoratori rende le aziende più competitive, più produttive e soprattutto più attrattive per le nuove generazioni. 

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Tra gli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano, ve ne è uno dedicato al tema dello smart working che, sebbene tratti un argomento legato nell’immaginario comune al 2020, è nato nel 2012 inserendosi in un ampio contesto di ricerca che da oltre dieci anni di occupava di studiare l’evoluzione del lavoro. LOsservatorio Smart Working, punto di riferimento per lo sviluppo della cultura dell’innovazione dei modelli di organizzazione del lavoro, adotta un approccio all’analisi del fenomeno fortemente multidisciplinare – un’analisi empirica che, attraverso survey e casi studio, coinvolge ogni anno oltre 200 grandi aziende italiane, 500 PMI e oltre 400 Pubbliche Amministrazioni. 
La definizione di smart working adottata dall’Osservatorio lo restituisce come “una filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati – in contrasto con il telelavoro, che invece si attua da remoto ma rispettando orari dati. Spesso questi due concetti si sovrappongono o confondono e lo smart working viene visto come risposta a modelli di conciliazione: le realtà che, invece, applicano modelli di smart working maturi, con iniziative su policy, spazi, tecnologie, comportamenti e stili di leadership, hanno prestazioni migliori e impatto positivo sul benessere delle persone 

LA SOSTENIBILITÀ SOCIALE

Le ricerche hanno dimostrato che lo smart working ha tendenzialmente incrementato il benessere e i livelli di soddisfazione dei dipendenti, resi più autonomi e più responsabili dei propri risultati.
Il minor tempo dedicato a
spostarsi tra casa e il luogo di lavoro consente un miglioramento in termini di
work-life balance e la corretta applicazione dello smart working potrebbe aiutare a ridurre il gender gap, redistribuendo in modo più equo gli impegni genitoriali, a includere maggiormente chi lavora lontano dalla sede e contribuire al supporto alla disabilità. La possibilità di lavorare in modo flessibile, in termini di luogo e tempo, ha delle implicazioni anche dal punto di vista economico anche se adottando la prospettiva del lavoratore, non è possibile definire in modo univoco il “segno” di tale bilancio. Infatti, se è evidente il risparmio consentito dagli spostamenti evitati, su altre dimensioni di spesa il risultato può dipendere anche dalle scelte e le policy dell’aziendaper il pasto, per la connettività, per i device tecnologici e le utenze domestiche. 
Il fatto di non doversi recare tutti i giorni in ufficio, poi, sta spingendo alcune persone a scegliere di vivere al di fuori delle grandi città: in molti casi questa scelta consente di risparmiare sulle spese per l’abitazione – e a cascata sta contribuendo ridurre del 10% il differenziale medio dei prezzi centro-periferia – ma soprattutto, in una prospettiva di medio-lungo periodo, potrebbe portare ad un ripopolamento di piccoli centri e periferie. 
Infine, un nuovo fenomeno connesso alla crescita di flessibilità nelle modalità di lavoro è il “lavoro disperso”, inteso come la possibilità di svolgere le proprie attività anche in luoghi molto distanti dalla sede aziendale per lunghi periodi. Molte persone stanno sfruttando questa possibilità integrando il lavoro da remoto con periodi di vacanza, dando un impulso positivo alle attività turistiche anche al di fuori dei periodi di alta stagione. 

LA SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE

La riduzione degli spostamenti casa-lavoro ha portato quindi sia a un recupero di tempo da reinvestire in attività personali, familiari o comunitarie, sia a un miglioramento della qualità della vita urbana, con meno traffico che si traduce, da un lato in una riduzione delle emissioni di CO2, e dall’altro nella possibilità di rendere più efficiente la gestione del sistema dei trasporti. I dati a riguardo raccolti dall’Osservatorio Smart Working stimano un potenziale risparmio in termini di CO2 prodotta pari a 1,8 milioni di tonnellate all’anno, che corrisponde all’anidride carbonica assorbita da 51 milioni di alberi. 
Sul tema dell’integrazione tra innovazione digitale e sostenibilità ambientale, l’Osservatorio ha realizzato un interessante podcast di carattere divulgativo con Giorgia Dragoni, Direttrice dell’Osservatorio Digital & Sustainable e Fabrizio Fiocchi, CEO & Co-founder ESGeoSustainability Intelligence.

I DATI DEL 2024

Nell’arco del 2024 sono stati eliminati gli ultimi obblighi normativi sullo smart working e alcune multinazionali hanno fatto notizia scegliendo di far tornare i propri lavoratori totalmente in presenza. Si potrebbe pensare quindi che l’adozione delle politiche di smart working sia in calo, ma i numeri fotografano un’altra realtà, con i lavoratori da remoto sostanzialmente stabili rispetto al 2023: 3,55 milioni rispetto ai 3,58 milioni del 2023 (-0,8%). Lo smart working è cresciuto nelle grandi imprese, dove coinvolge quasi 2 milioni di lavoratori (1,91 milioni, +1,6% sul 2023), vicino al picco della pandemia, con il 96% delle grandi organizzazioni che oggi hanno consolidato delle iniziative. È calato invece nelle PMI, passando a 520mila lavoratori dai 570mila dell’anno scorso, e rimasto sostanzialmente stabile nelle microimprese (625mila nel 2024, 620mila nel 2023) e nella PA (500mila nel 2024, 515mila nel 2023).
Per il 2025 si prevede una crescita del +5%, che porterebbe a toccare 3,75 milioni. A far evolvere le iniziative, in termini di persone coinvolte o di policy, saranno soprattutto le grandi imprese (35%) seguite dalle PA (23%) e dal 9% delle PMI. Praticamente tutte le grandi imprese prevedono di mantenere lo smart working anche in futuro. Il 35% delle grandi imprese e il 43% delle PA prevede un incremento dei lavoratori coinvolti nel prossimo anno, mentre nelle PMI la direzione è opposta, con solo l’8% che ipotizza un aumento.

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Gli smart worker italiani possono lavorare da remoto in media 9 giorni al mese nelle grandi imprese, 7 nella Pubblica Amministrazione e 6,6 nelle PMI. Lo smart working è una pratica diffusa e apprezzata, a cui ben pochi rinuncerebbero: il 73% dei lavoratori che se ne avvalgono si opporrebbe se la propria azienda eliminasse questa forma di flessibilità. Nello specifico, il 27% penserebbe seriamente di cambiare lavoro, il 46% si impegnerebbe per far cambiare idea al datore di lavoro. Sempre secondo i lavoratori, per cercare di compensare almeno in parte la mancata possibilità di lavorare da remoto, l’azienda dovrebbe offrire una maggiore flessibilità oraria o aumentare lo stipendio di almeno il 20%.

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Tra chi è tornato in totale presenza dopo aver lavorato da remoto, solo il 19% lo ha fatto per scelta personale, perché non ha più la necessità di lavorare da remoto o semplicemente preferisce socializzare con i colleghi in presenza, il 23% ha una nuova mansione non svolgibile da remoto, mentre per la grande maggioranza (58%) è stata una decisione presa dall’azienda.
La flessibilità nell’organizzazione del lavoro è rilevante per attrarre e trattenere talenti. Per questo le organizzazioni stanno valutando e sperimentando nuovi modelli per ampliare il numero di persone che possono fruire di forme di flessibilità e, allo stesso tempo, accedere ad un più ampio bacino di competenze necessarie” – dice Fiorella Crespi, Direttrice dell’Osservatorio Smart Working . “Si va dalla settimana corta, adottata effettivamente da meno del 10% delle aziende, ma che riscuote molto interesse, all’International Smart Working: un fenomeno emergente praticato nel 29% delle grandi imprese e che permette di impiegare persone che risiedono all’estero, siano esse di nazionalità straniera o italiana”. Quest’ultimo è praticato già dal 29% delle realtà, mentre è ancora contenuta la diffusione nelle PMI (4%). Con questa iniziativa le organizzazioni possono accedere ad un più ampio bacino di talenti a livello geografico e mantenere il rapporto di lavoro con chi manifesta la necessità di spostarsi a vivere all’estero, possono attrarre specifici profili e trattenere talenti. A limitarne la diffusione, tuttavia, vi è la difficile gestione fiscale e previdenziale per metà delle organizzazioni e, una volta avviata l’iniziativa, il principale rischio percepito dalle aziende è la perdita di senso di appartenenza e la riduzione dell’engagement (per il 57% delle grandi imprese), mentre per il 46% delle PMI la preoccupazione è soprattutto la gestione in sicurezza dei dati. 

LE STRATEGIE DI MANAGEMENT E IL LAVORO PER OBIETTIVI

L’atteggiamento dei manager ha un ruolo cruciale nel determinare l’adozione delle pratiche di smart working e il loro effettivo utilizzo: il 53% delle grandi imprese ritiene che i propri manager siano promotori di tali iniziative mettendole in pratica e stimolando anche i propri collaboratori a farlo. Nel settore pubblico e nelle PMI questo atteggiamento positivo è meno diffuso, presente solo, rispettivamente, nel 35% e nel 27% delle organizzazioni. Oltre un terzo delle PMI dichiara, invece, che i propri responsabili hanno un atteggiamento scettico rispetto allo smart working, permettendo alle persone di lavorare da remoto solo in presenza di particolari necessità o addirittura non incentivandone l’applicazione. 
Oggi i manager rischiano, infatti, di essere l’anello debole della catena di trasmissione di innovazione dei nuovi modi di lavorare: chi gestisce persone si trova a fronteggiare nuove sfide che derivano dai cambiamenti dei modelli organizzativi avvenuti a seguito della pandemia e dalle mutate aspettative delle persone, soprattutto quelle dei lavoratori più giovani – si legge nei documenti dell’Osservatorio. La Generazione Z (nati tra il 1997 e il 2012 circa) trasmette una visione di trasformazione trasversale, portando nel proprio lavoro un forte bisogno di self-trascendence, di uno scopo che dia significato all’attività lavorativa che si svolge. A questo si aggiunge la richiesta di estrema flessibilità e personalizzazione: ognuno vuole essere trattato in modo diverso e ciò implica un cambio totale nelle attitudini in termini di stili di leadership, rispetto a cui è però necessario trovare un equilibrio per non cadere nell’eccessiva personalizzazione e di conseguenza nella perdita di coerenza all’interno dell’organizzazione. Sullo sfondo emerge inoltre un grande disagio psicologico, che investe larga parte della forza lavoro. Investire sulla qualità della leadership è quindi fondamentale perché ai manager viene chiesto di farsi carico di questa fase così complessa (che tuttavia anche i capi stessi stanno vivendo) e, soprattutto, perché lo stile di leadership ha impatto sul benessere, sull’engagement e sulla motivazione delle persone, oltre che sulla capacità dell’organizzazione di trattenere i propri talenti. Al fine di interpretare la leadership in modo smart e quindi incidere positivamente sul proprio team, il manager deve essere in grado di trasmettere l’indirizzo strategico dell’organizzazione, assegnare obiettivi chiari, supportare i propri collaboratori nel perseguire obiettivi sfidanti, dare feedback frequenti e costruttivi, favorire la crescita professionale, essere aperto e propositivo rispetto ai cambiamenti. 
 
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In linea con quanto emerso durante il 2024, gli smart worker risultano la categoria di lavoratori con engagement più elevato, seguiti dagli on-site worker (cioè coloro che lavorano sempre presso la propria sede di lavoro) e infine da chi lavora in modalità remote non smart (ossia coloro che lavorano da remoto ma non hanno altre flessibilità o orientamento al risultato). Questo lascia intendere quanto sia importante adottare iniziative di smart working che agiscano in modo completo in termini di flessibilità, autonomia e orientamento ai risultati. Anche l’approccio individuale alla gestione tra vita lavorativa incide sul livello di engagement. In questo senso, è possibile dividere i lavoratori in due gruppi: i work-life integrator (ovvero coloro che non ricercano una separazione netta tra tempi e luoghi della vita lavorativa con quelli della vita privata, ma preferiscono gestirli in maniera integrata e flessibile) e i work-life separator (ossia coloro che stabiliscono chiari confini tra attività lavorative e quelle private). Dai dati emerge che i people manager sono in prevalenza integrator (il 60% rispetto al 40% dei separator), mentre tra chi non gestisce persone prevale la categoria dei separator (il 58% rispetto al 42% degli integrator). Analizzando il livello di engagement delle due categorie, gli integrator risultano i più inclini ad avere livelli di engagement maggiori. Tuttavia, i numeri ci dicono che uno stile di leadership smart permette di colmare il gap di engagement tra i due profili di gestione del work-life balance. È quindi fondamentale che le organizzazioni adottino soluzioni per migliorare il benessere organizzativo e per favorire la diffusione di una leadership smart, accompagnando e supportando i manager per far fronte alle nuove esigenze delle persone.

NUOVE FORME DI FLESSIBILITÀ

Dalla ricerca dell’Osservatorio Smart Working si evince che meno di 1 azienda su 10 ha adottato la settimana corta ma, nonostante una diffusione ancora contenuta, questa sta riscontrando interesse nelle organizzazioni. I modelli e le pratiche sono molto diversi, dalla settimana compressa ai venerdì brevi, talvolta applicati solo in determinati periodi dell’anno, o una rimodulazione dell’orario lavorativo riservate a specifici profili di lavoratori, come quelli su turni. Le motivazioni principali per cui le organizzazioni hanno implementato o stanno valutando di introdurre la settimana corta sono: migliorare il bilanciamento fra vita privata e lavorativa delle persone (per il 91% delle aziende), la volontà di aumentare la soddisfazione lavorativa e l’engagement (89%) e la capacità di risultare più attrattive sul mercato del lavoro (56%). Il miglioramento della produttività non figura tra le principali motivazioni dichiarate.

settimana corta istogramma

LA COMPLESSITÀ DEI MODELLI SMART

Nonostante i numerosi vantaggi, l’Osservatorio ha evidenziato alcune criticità, tra cui il rischio di mancanza di interazione sociale nel contesto lavorativo che può generare senso di solitudine e alienazione; il fenomeno del digital divide, dell’accesso alle tecnologie e alle competenze necessarie ad utilizzarle; il rischio di sovraccarico lavorativo dovuto a una flessibilità che si traduce in continua reperibilità; il tecnostress. Per massimizzare pertanto i benefici dello smart working e ridurne gli effetti negativi, l’Osservatorio ha sottolineato come fondamentali:

  • la promozione di una cultura organizzativa inclusiva, favorendo il rispetto dei confini tra lavoro e vita privata;
  • l’investimento in formazione digitale, per offrire strumenti e competenze adeguate a tutti i lavoratori;
  • la creazione di spazi di socialità virtuali incentivando momenti di condivisione, anche da remoto, per mitigare il rischio di isolamento. 

Lo smart working rappresenta un’opportunità unica per promuovere la sostenibilità sociale, ma richiede un approccio strategico e inclusivo e le conclusioni dell’Osservatorio ricordano quindi che il vero successo dello smart working non si misura solo in termini economici, ma anche attraverso il suo impatto positivo sulla vita delle persone e delle comunità.