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Cosa sono e come funzionano le Comunità Energetiche Rinnovabili

I criteri delle direttive europee incoraggiano fenomeni di generazione distribuita e favoriscono lo sviluppo di energia a km zero da parte di comunità di prosumer, attraverso smart grids che producono e condividono energia rinnovabile.

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Le Comunità Energetiche Rinnovabili sono delle forme di co-produzione, condivisione e ridistribuzione dell’energia elettrica da parte di comunità che si aggregano a questo scopo e che possono essere di diversa natura.

Queste esperienze, infatti, nelle loro prime forme, sono nate proprio dal basso in maniera spontanea a partire dal desiderio di queste comunità di rendersi più autonome sul piano dell’energia e di affidarsi maggiormente alla produzione di energia attraverso fonti rinnovabili.

COSA SONO E COME FUNZIONANO

Il funzionamento di una comunità energetica comincia quando i consumatori passivi si trasformano in consumatori attivi e produttori, unendosi al mercato dell’energia come prosumer – concetto, entrato in effetti a far parte anche del linguaggio nel settore del design, per cui si è allo stesso tempo producer e consumer, partecipando attivamente ai processi dei beni che si utilizzano. I prosumer delle comunità energetiche sono dotati di propri impianti per la generazione di energia elettrica per l’autoconsumo e cedono l’energia in eccesso ad altri consumatori che fanno parte della stessa rete. Quest’ultima è un’infrastruttura che collega tutti gli utenti della comunità energetica, una smart grid che ottimizza con efficienza la distribuzione dell’energia attraverso un sistema in grado di gestire situazioni in cui le reti di distribuzione siano oggetto di inversione dei flussi di energia, o in cui si verifichino localmente eventuali surplus, e predisposte anche per gestire i sistemi di accumulo in modo dinamico e in tempo reale.

IL DECRETO DEL MASE

Il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (che ha pubblicato il 23/01/2024 il Decreto MASE n. 414 del 07/12/2023 che stimola la nascita e lo sviluppo delle Comunità energetiche rinnovabili e dell’autoconsumo diffuso in Italia) definisce le Comunità Energetiche Rinnovabili come “un insieme di cittadini, piccole e medie imprese, enti territoriali e autorità locali che condividono l’energia elettrica rinnovabile prodotta da impianti nella disponibilità di uno o più soggetti associatisi alla comunità. In una CER l’energia elettrica rinnovabile può esser condivisa tra i diversi soggetti produttori e consumatori, localizzati all’interno di un medesimo perimetro geografico, grazie all’impiego della rete nazionale di distribuzione di energia elettrica, che rende possibile la condivisione virtuale di tale energia”.

LE PRIME CER

In Europa sono più di uno gli esempi di CER nate prima ancora che ne esistesse una definizione precisa, formatesi per iniziative entusiastiche di sperimentazione alternativa, di pochi enti o individui che per tentativi hanno introdotto i metodi giusti per attuarle. Lo sviluppo delle prime energy community ha avuto inizio negli anni ‘70 in Danimarca con l’installazione di impianti eolici da parte di cooperative di cittadini interessati a promuovere le energie rinnovabili, una pratica che negli anni successivi ha iniziato a diffondersi anche in Germania e Belgio.

Tra le più virtuose e sistematizzate esperienze che hanno aiutato questa pratica a consolidarsi nel contesto tecnologico contemporaneo e della liberalizzazione del mercato energetico europeo, c’è il Bioenergy Village di Jühnde, costituitosi in Germania nel 2004 grazie all’iniziativa dell’Interdisciplinary Centre For Sustainable Development (IZNE) della University of Göttingen e completato nel gennaio 2006. La comunità energetica, a quel punto, era in grado di fornire tutto il riscaldamento di cui necessitava la cittadina di Jühnde grazie ad un impianto di cogenerazione a biogas e ad una caldaia a cippato, e di produrre il doppio dell’energia elettrica che serviva agli abitanti.

LE CER IN  ITALIA

In Italia, le prime esperienze ante litteram risalgono addirittura a fine Ottocento, quando in più zone del paese sono nate cooperative che si garantivano in autonomia l’approvvigionamento energetico attraverso la produzione locale, spesso in montagna; tra queste ci sono la SEM – Società Elettrica in Morbegno, fondata in Valtellina nel 1897, la Cooperativa Elettrica Alto But, costituita in Friuli nel 1911, la Società Elettrica Santa Maddalena, sorta nel 1921 per promuovere lo sviluppo sostenibile della Val di Funes, in Alto Adige, l’Azienda Energetica Prato Società Cooperativa, fondata nel 1926 in Val Venosta, sempre in Alto Adige, e la CEG – Società Cooperativa Elettrica Gignod di Saint-Christophe, in Valle d’Aosta, nata nel 1927.

Attualmente, in Italia sono state mappate circa 100 realtà tra Comunità Energetiche Rinnovabili e Configurazioni di Autoconsumo Collettivo, i cui impianti di autoproduzione risultano essere per lo più di portata compresa tra i 20 e i 60 kW. Si attende tuttavia una crescita esponenziale di questo fenomeno, tanto che uno studio del Politecnico di Milano (Electricity Market Report) stima che entro il 2025 le energy community italiane saranno circa 40mila e coinvolgeranno circa 1,2 milioni di famiglie, 200mila uffici e 10mila PMI.

A influire in modo importante su questa previsione è la Direttiva Europea RED II che prevede, tra le varie norme, anche il sostegno finanziario alla produzione e all’autoconsumo di energia elettrica da fonti rinnovabili, individuata dall’UE come la via ottimale per perseguire la realizzazione di un mercato dell’energia equo e sostenibile, in grado di apportare benefici ambientali, sociali, sanitari ed economici.

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