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Il design rigenerativo, con Maurizio Montalti   

31 Gennaio 2025

Maurizio Montalti, ricercatore e imprenditore, designer e ingegnere, spiega come è passato da ricerche artistiche ed indagini speculative nel campo della progettazione, a provare a cambiare l’impatto dei sistemi produttivi, collaborando con la materia viva.

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“La mia ricerca progettuale si è intersecata con quella biologica e biotecnologica.”

Officina Corpuscoli, Mogu, e ora SQIM: l’attività di Maurizio Montalti – che ha fatto di binomi apparentemente poco compatibili la cifra eclettica dei suoi cenni biografici – si divide tra le anime più sperimentali e quelle più industriali della progettazione; la sua pratica è così un ottimo esempio per capire dove queste due si incontrano. Non solo per scoprire come da riflessioni creative o speculative possano nascere idee imprenditoriali in grado di cambiare (in meglio) il panorama del settore, ma anche come all’interno dell’incubatrice industriale possano essere coltivati stimoli orientati a spingere il pensiero un pochino più in là. 

“Il mio studio, Officina Corpuscoli, è nato come conseguenza diretta di un’investigazione nel campo del design. Dopo la mia formazione in ingegneria a Bologna, all’interno del master in Conceptual Design in Context alla Design Academy di Eindhoven ho cominciato a esplorare opportunità che potessero identificarsi all’intersezione dei regni umano e non umano, e all’intersezione di campi applicativi che possono sembrare distanti. La mia ricerca progettuale si è quindi intersecata con quella biologica e biotecnologica: assumendo la morte in quanto base per la rigenerazione e approfondendo gli studi sugli agenti che in natura si occupano dei processi di degradazione, gli strumenti del design mi hanno aiutato a mappare questi processi che si basano sulla decomposizione della materia organica per trasformarla in nutrimento che possa consentire l’emergere di nuove forme di vita.
Da qui sono nate le prime collaborazioni: ad esempio, ho avuto l’opportunità di lavorare all’interno del dipartimento di microbiologia dell’Università di Utrecht, dove ho cominciato a condurre le mie sperimentazioni scientifiche, da designer.”

 

Maurizio Montalti (CEO SQIM, Mogu, Ephea)
Maurizio Montalti (Chief Mycelium Officer & co-Founder SQIM, Mogu, Ephea)

“Gli agenti microbici diventano partner fondamentali in questo processo di cambiamento.”

 

“Designer con il camice bianco, con tanta passione ma con competenze scientifiche assai basilari al tempo: ho scelto quindi di lavorare utilizzando l’approccio del designer-maker, come fossi in una falegnameria o in un’officina meccanica, ma all’interno di un laboratorio di ricerca microbiologica dove la materia con cui mi confrontavo – vita, più che materia – era costituita da organismi in continua crescita e in continuo divenire.
Per quanto io sia cresciuto, poi, nel contesto del mio studio, è stato parte del mio percorso accogliere ed indirizzare la crescita fisiologica che porta da un processo le cui radici si trovano in un terreno di ricerca creativa, ad evolversi in una modalità più intenzionale, industriale possiamo dire d’ora in poi, per cercare di fare la differenza a livello di impatto – non soltanto di impatto parlato, ma di impatto misurabile ed effettivo sul cambiamento dei sistemi produttivi, sulla difesa delle risorse naturali e dell’ecosistema, e sul ciclo di vita dei prodotti a più largo spettro, oltre ad un focus chiave relativo al coinvolgimento relazionale che esiste fra l’uomo ed altri esseri viventi, nel mio caso agenti microbici, che diventano partner fondamentali in questo processo di cambiamento.”

 

Fungal Futures ©Officina Corpuscoli, Maurizio Montalti
Fungal Futures ©Officina Corpuscoli, Maurizio Montalti

“Se nulla si crea, nulla si distrugge, e tutto si trasforma, in che cosa si trasforma? Anche i materiali più problematici possono essere degradati.”

“Inizialmente ho quindi approfondito la possibilità di identificare nuovi percorsi progettuali che mi consentissero, non di creare qualcosa di nuovo, ma di distruggere quello che già c’era: una critica costruttiva che include le opportunità che ci possono essere nel coltivare una ricerca interdisciplinare grazie alla cross-contaminazione fra campi applicativi e conoscenze differenti, dimostrando che il progettista ha la responsabilità di prendersi cura dei disastri di cui in parte è responsabile.”

Il primo principio della termodinamica in questo caso è vero più che mai, ma se nulla si crea, nulla si distrugge, e tutto si trasforma, in che cosa si trasforma? Anche i materiali più problematici possono essere degradati; ovviamente ci vuole tanto tempo e servono le condizioni opportune, gli impatti possono essere  comunque gravi e vanno misurati attentamente, ma la domanda è: è possibile rendere viva la materia inorganica da noi creata, che è semi-eterna, e innescare così la possibilità che possa morire? Ciò, abbracciando vita e morte come due concetti fondamentalmente complementari e dando quindi forma all’idea di ciclo – anche se non solamente nella sua forma tipicamente descritta in maniera circolare.”

EPHEA - Finished Mycelium Materials - Kaki natural ©EPHEA 2023
EPHEA – Finished Mycelium Materials – Kaki natural ©EPHEA 2023

“La biomassa fungina permette di creare qualcosa di nuovo tramite un processo di generazione molto veloce, soprattutto se confrontato con la crescita di altri materiali organici, come il legno.”

“Per spiegare questa opportunità, ho iniziato creando piccole collezioni di oggetti stimolanti, seducenti e ricchi di storytelling. Nei primi anni, tra il 2010 e il 2012, il mio focus è stato principalmente lo studio dei cicli di decomposizione attraverso lavori artistico-progettuali, ed una conseguente evoluzione nutrita dall’approfondimento continuo che portavo avanti in laboratorio, circondato dalle competenze di scienziati e da strumentazione che non mi sarei potuto permettere autonomamente. Con un approccio un po’ meno ortodosso, quindi, sono riuscito a dimostrare che era effettivamente possibile lavorare in sinergia con microrganismi fungini selezionati per degradare materiali molto problematici a livello di impatto; nello specifico alcune tipologie di materiali plastici.”

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“Che si trattasse di materia organica o inorganica, è ovvio che non scompariva, ma si trasformava in qualcos’altro. Ho cominciato quindi a studiare con piú profondità la biomassa fungina, il micelio, il corpo effettivo del fungo, un agente microbico estremamente esteso, di solito invisibile ai nostri occhi, che agisce principalmente – ma non solo – all’interno dell’ecosistema del suolo e che consiste in una rete di microfilamenti tubolari – le ife – all’interno dei quali scorrono nutrimenti e informazioni, a beneficio dell’organismo stesso e di molteplici altri.”

 

EPHEA Lab - Bioreactor producing mycelium biomass ©EPHEA 2022
EPHEA Lab – Bioreactor producing mycelium biomass ©EPHEA 2022

“Fare ricerca con ciò che è vivo consente di stabilire una relazione con l’altra forma di vita con cui si sta collaborando, piuttosto che con l’esperimento in sé. La biomassa fungina permette quindi di creare qualcosa di nuovo tramite un processo di generazione molto veloce, soprattutto se confrontato con la crescita di altri materiali organici, come il legno. Impiegare al meglio questa tecnologia naturale, che non ha inventato nessuno di noi, ma che semplicemente esiste come esistiamo noi, può aiutarci a transitare verso un paradigma produttivo che si basi sull’impiego di risorse residue, valorizzate grazie all’azione ‘digestiva’ di specifici microrganismi.”

 

Mogu - Radical by Nature - Process ©mogu
Mogu – Radical by Nature – Process ©mogu

“Attraverso l’industria, il desiderio era quello di potermi rivolgere ad una collettività più ampia, con l’obiettivo di democratizzare tecnologie e prodotti in grado di cambiare l’approccio utilitaristico che la società contemporanea adotta in merito al suo agire sull’ecosistema.”

“Questa era la mia grande ambizione e visione iniziale, che in un primo momento si è manifestata tramite alcune piccole collezioni di oggetti che avevano la finalità di far comprendere la potenzialità e l’impiego pratico di materiali innovativi derivanti dalla crescita fungina, seppur fossero destinati ad un contesto prettamente culturale, principalmente quello dei musei e delle gallerie. É stato un percorso molto interessante e gratificante per me – ed in parte lo è tuttora – in quanto mi ha dato l’opportunità di essere ascoltato in merito alla diffusione di un necessario cambiamento di mentalità. Ma al contempo la maggioranza dei miei interlocutori faceva parte di un contesto estremamente limitato, una piccola minoranza rispetto alla collettività globale. Da qui la voglia di provare a fare un passo importante con obiettivi di ampio respiro, per provare a raggiungere in modalità fattiva l’impatto descritto fino a quel momento in maniera teorica, o quantomeno dimostrativa. Attraverso l’industria, il desiderio era quello di potermi rivolgere ad una collettività sempre più ampia, con l’obiettivo di democratizzare, nel lunghissimo periodo, tecnologie e prodotti in grado di cambiare l’approccio utilitaristico che la società contemporanea adotta in merito al suo agire sull’ecosistema. Da lì è partito un percorso molto avvincente e che continua ancora oggi nel contesto aziendale.”

 

Mogu - Radical by Nature - lab ©mogu
Mogu – Radical by Nature – lab ©mogu

“Si può dire che quello a cui abbiamo dato vita, espandendo via via le ricerche sui campi applicativi e su diversi processi possibili, è un’azienda che agisce come una sorta di holding biotecnologica, che sviluppa tecnologie innovative che poi vengono declinate, dalle sue rispettive linee di business, in materiali e prodotti per il mercato. Trattandosi di innovazione, il percorso  è spesso ben più lungo di quello che uno potrebbe inizialmente ipotizzare, perché fare la differenza è molto complesso e richiede grandi sforzi, passione e determinazione, ma oggi stiamo effettivamente provando ad innescare una rivoluzione nel mondo dei materiali, con molta umiltà e nella piena consapevolezza delle sfide che giornalmente abbiamo davanti. L’obiettivo è poter contribuire ad un cambiamento radicale di filiera, in contesti  estremamente problematici. Non a caso abbiamo targettizzato con molta enfasi non solo il mondo dell’architettura e degli interni, ma anche il mondo della moda.”

 

EPHEA & BALENCIAGA - Floor-lenght coat by Balenciaga Winter 22 launched at Paris Fashion Week in March 2022. Image courtesy of Balenciaga
EPHEA & BALENCIAGA – Floor-lenght coat by Balenciaga Winter 22 launched at Paris Fashion Week in March 2022. Image courtesy of Balenciaga

“Qualora ci sia scarto, può essere utilizzato per essere reintrodotto nel processo di crescita della materia, e quindi fungere da nutrimento: è l’approccio virtuoso consentito dalla bio-fabbricazione.

Operando nel contesto industriale, Maurizio Montalti non cambia, quindi, solo il paradigma di produzione attraverso la collaborazione, ma si inserisce anche nella strutturazione di una nuova concezione delle imperfezioni e dell’imprevedibilità nei processi ingegnerizzati e, quindi, standardizzati. La bio-ingegnerizzazione è una questione nodale in questo processo di sviluppo: il sistema industriale standardizza ormai da secoli proprio perché l’imprecisione produce elementi di imprevedibilità che all’interno della scalabilità dello standard portano con loro possibili sprechi, inefficienze, scarti. Questo accade nel contesto che abbiamo conosciuto finora, diciamo nel Novecento. Il paradigma che introduce questa nuova pratica, invece, porta questi elementi all’interno di una visione industriale de-problematizzandoli, perché la collaborazione con la biologia potrebbe essere in grado di correggere la produzione di sprechi. “Al centro del nostro sistema produttivo – continua Montalti – vi è proprio la valorizzazione dello scarto, che per noi è piuttosto materia residua, o materia a basso valore aggiunto. E la produzione di ulteriori scarti si limita fortemente nel contesto del processo di bio-fattura – per non chiamarla mani-fattura. Qualora ci sia scarto, può essere utilizzato per essere reintrodotto nel processo di crescita della materia, e quindi fungere da nutrimento: è l’approccio virtuoso consentito dalla bio-fabbricazione. La realtà poi, si scontra con i limiti della biologia: ad oggi, nel contesto dei processi biologici che impieghiamo, non riusciamo ad avere la certezza della buona riuscita del risultato con un’efficienza del 100%, perché la materia biologica è ben più complessa di altre, come ad esempio quelle originate da processi più precisi e di natura piu’ discreta, come quelli chimici.

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Questo non per banalizzare la chimica – e anzi, le due vanno di pari passo perché si informano a vicenda. In chimica, se prendiamo reagente A e reagente B, per esempio, mettendoli insieme in determinate condizioni ambientali per un determinato tempo, anche ripetendo l’operazione innumerevoli volte nelle stesse condizioni, otterremo sempre lo stesso identico risultato. La biologia, ad oggi, è invece assai differente: si può eseguire lo stesso processo in quelle che si ritengono essere le  stesse condizioni, ma è possibile che qualche fattore faccia mutare il risultato, nel bene o nel male. E nel momento in cui si parla di standardizzazione questa è una tematica molto delicata perché la standardizzazione può riguardare anche le sole proprietà tecnico-meccaniche: in tal caso siamo in grado di garantire che cadiamo all’interno di un range di prestazioni che è al 100% accettabile. Mentre spesso non è così immediato ottenere, ad esempio, un’effettiva standardizzazione che riguarda aspetti di natura estetica, che non sono prettamente funzionali, ma che sono a volte “conditio sine qua non” per il cliente. Capita a volte infatti di collaborare con aziende – alcune delle quali  perseguono miglioramenti in ambito di sostenibilità in quanto obbligate dalla politica e dalla legislazione, compiendo scelte di necessità e non di volontà – che si rivolgono a noi per intraprendere un potenziale percorso, per creare sostituti di materiali esistenti. Ma è sbagliato ragionare sulla sostituzione, sul replacement, invece che sull’alternativa, ed è da questa semplice intuizione che per l’industria si possono aprire incredibili opportunità, ma è necessario essere coraggiosi perché ciò avvenga. Le imprese, abituate a immaginarsi come soggetti produttori, solo in tempi recenti hanno forse preso sempre più coscienza del fatto che non solo producono, ma anche consumano e scartano.”

Mogu - Radical by Nature - Acoustic Mycelium Panels ©mogu - Mogu Foresta System
Mogu – Radical by Nature – Acoustic Mycelium Panels ©mogu – Mogu Foresta System

“Fare innovazione richiede un percorso di sviluppo, ben differente da una semplice fornitura. Non è quasi mai un punto di arrivo, ma un processo continuo di ripartenza che si basa sulla collaborazione sinergica di filiera.

Le sfide di approcci così radicali sono però molteplici: se è vero che queste operazioni hanno una platea attenta, interessante e ricettiva, è anche vero, come si diceva sopra, che essa è costituita da una ristretta minoranza della collettività. Incidere realmente sull’impatto, significa quindi portare questa azione ad un altro pubblico, affinché possa essere compresa. Questo ha a che fare con temi comunicativi (ovviamente in termini progettuali) non solo verbali o tramite i simboli, come quelli delle certificazioni e delle etichettature, ma anche sensoriali o segnaletici. Al consumatore, tuttavia, serve un aggancio, o una conoscenza di base, per comprendere questo paradigma, e così spesso si ripiega su esplicite narrative di stampo naturale. Agendo nella modalità del replacement, per esempio sostituendo via via i materiali di una sedia prima in compensato, poi in plastica per aumentarne la leggerezza ed eliminare la formaldeide, poi in materiali bio-based per garantirne un ciclo di vita rispettoso dell’ambiente, il progetto dell’oggetto rimane tuttavia il medesimo. Il rischio è pertanto quello di rincorrere le stesse prestazioni meccaniche facendolo in maniera sempre più virtuosa, aderendo ai principi di questo tipo di narrativa naturale, affinché sia comprensibile per il consumatore. Allo stesso modo, saltando invece questi step di ‘banalizzazione’, il rischio è quello di perdere l’occasione di far comprendere al pubblico queste operazioni, che se non passano per il replacement rischiano di mancare di leggibilità. “È importante comprendere che ci troviamo in una fase di transizione ed è fondamentale rendere fruibile il messaggio anche ai non addetti ai lavori e ai non esperti. Fare innovazione richiede un percorso di sviluppo, ben differente da una semplice fornitura. Non è quasi mai un punto di arrivo, ma un processo continuo di ripartenza che si basa sulla collaborazione sinergica di filiera. Infatti, i progetti più interessanti si attuano mettendo in piedi partnership che si fondano su percorsi di sviluppo concreto pluriennale, in sinergia tra le parti, ad esempio tra innovatori e aziende manifatturiere.”

 

Fungal Futures - Materials Samples ©Officina Corpuscoli,Maurizio Montalti
Fungal Futures – Materials Samples ©Officina Corpuscoli,Maurizio Montalti

“L’innovazione potrebbe introdurre una nuova estetica, che si può quindi trasformare in un nuovo trend.

Il cambiamento di mentalità si attua in parte anche attraverso una serie di valori che sono concentrati all’interno del prodotto. Molti tra i nuovi materiali ne imitano altri, confondendo il consumatore meno attento riguardo ad aspetti quali per esempio le prestazioni meccaniche e la durabilità. L’imitazione è diventata così un tema di consuetudini: ceramica che sembra legno, superfici vegane che sembrano pelle o cuoio, creano aspettative sia prestazionali che estetiche nei loro utilizzatori. “L’obiettivo oggi è quindi creare un nuovo standard industriale di riferimento; per fare questo spesso è necessario mascherare il materiale da qualcosa che non è – il che fa piuttosto sorridere – ma è fondamentale per far leva sull’innovazione, mettendo in evidenza i benefici e le qualità sotto tutti i punti di vista. E l’innovazione potrebbe introdurre una nuova estetica, che si può quindi trasformare in un nuovo trend. C’è tanto da costruire su questo, ed è certo un peccato che ancora non stia accadendo in maniera consistente, anche perché è uno spazio che i designer potrebbero occupare e invece i designer stessi sono le prime vittime, perché intrappolati nella propria consuetudine. Servono approcci migliori e innovativi, ma per trovarli bisogna metterci il cuore e la fatica e comprendere con estrema profondità il punto a cui ci troviamo oggi, attraverso tale processo di transizione”.

 

The Growing Lab - Mycelia ©Officina Corpuscoli, Maurizio Montalti - Mykes3
The Growing Lab – Mycelia ©Officina Corpuscoli, Maurizio Montalti – Mykes3

“È una cultura di consumo, ma anche una cultura di contesto forgiato dall’inevitabile difficoltà di questa progressione collettiva costante e importante. L’industria si appoggia su meccanismi consolidati, a volte fatica a ragionare sull’innovazione e ha bisogno di realtà coraggiose che la spingano a farlo.

“Questo è il nostro focus, facendoci guidare dall’intelligenza del sistema natura. Non soltanto in maniera ispirativa, ma grazie ad una collaborazione ed uno scambio effettivi, per cambiare radicalmente ed in maniera positiva il modo in cui ci relazioniamo con la materia ed i prodotti di cui ci circondiamo nella vita di tutti i giorni, che si tratti degli interni dello spazio in cui viviamo, o di ciò con cui ci vestiamo o portiamo in giro le nostre cose. Ecco, cambiare il modo in cui le cose sono fatte attraverso la creazione di tecnologie innovative, che in realtà già esistono ma che vengono declinate a beneficio di un rinnovato sistema industriale, che possa dare vita a prodotti ‘più gentili’ e virtuosi. Dico più gentili perché questo è un percorso: si parte dall’ottimo, dall’ideale, la situazione in cui si desidererebbe raggiungere la soluzione più pura in maniera completa, e poi si comprende che il percorso è costituito da passi incrementali. Qualche compromesso – una parola che pare sempre un po’ sporca – è da fare se accettabile, senza compromettere però i propri valori e la propria integrità, con chiarezza e trasparenza. Già oggi il nostro impegno ci ha permesso di introdurre a mercato prodotti estremamente  migliorativi rispetto allo status quo, e che continueranno a migliorare perché il percorso di avanzamento che stiamo facendo a livello di ricerca e sviluppo, che va a informare poi la natura della nostra produzione, è molto veloce, e quindi son sicuro che ci condurrà verso l’ottimo.”

Il punto di vista di Maurizio Montalti ci restituisce un importante riflessione su come la costruzione dell’innovazione sia un percorso di natura collettiva: si arriva più lontano andando più lenti. “Facendo una corsa pazzesca, si rischia di girarsi ed accorgersi di essere arrivati da soli”. Provando invece a muoversi, in un contesto come quello di una filiera complessa, facendo piccoli passi in avanti un poco alla volta, forse non si arriva lontano nel breve periodo, ma è più basso il rischio di lasciare indietro tutti gli altri e di non essere compresi. Così il percorso diventa più leggibile e guarda ad una cultura comune costruita con delle basi più solide. “È una cultura di consumo, ma anche una cultura di contesto forgiato dall’inevitabile difficoltà di questa progressione collettiva costante e importante. L’industria si appoggia su meccanismi consolidati, a volte fatica a ragionare sull’innovazione e ha bisogno di realtà coraggiose che la spingano a farlo perché dimostrano, investendoci in proprio, la reale opportunità che ne emerge. Ricordo che anche noi facciamo industria, e alla base del commercio rimane importante creare oggetti e prodotti che siano in qualche modo seducenti, accattivanti. L’obiettivo non è contrastare lo status quo ma forse è creare nuove opportunità per lo status quo stesso. Proprio perciò suggerivo che c’è una nicchia che i designer non stanno sfruttando: agire per progettare in maniera tale che i prodotti siano soprattutto desiderabili, per adattarsi a uno stile di vita più soddisfacente per tutti, non solo per noi esseri umani, ma per l’intero pianeta e per l’ecosistema che lo anima, e di cui noi siamo solo una componente.”

Immagine in apertura: The Growing Lab – Mycelia ©Officina Corpuscoli, Maurizio Montalti (mycelium bowl)